Antoni Guido
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ANTONI GUIDO (Trieste 29 aprile1919 – Muggia,Ts 17 ottobre 2007 )
Guido Antoni assecondò la sua vocazione al disegno, dipingendo il primo quadro a 14 anni, i genitori lo volevano ingegnere ma lui scelse l’Accademia delle Belle Arti di Venezia, dopo la guerra, per vivere, si dedicò al restauro di quadri antichi continuando a dipingere finché nel 1958, spinto da Chino Alessi, allora direttore del quotidiano di Trieste Il Piccolo, allestì la sua prima mostra che fu un successo.
Antoni, di carattere schivo e non interessato a mercanteggiare, non ha avuto la fortuna di altri artisti, “Ma forse è stato meglio così, perché il successo non faceva per noi” disse la moglie Maria dopo un incontro con Leo Castelli, in quel periodo il maggior gallerista del mondo.
Antoni è tra i pittori triestini più noti fuori dalla sua città, diciamo, che è più noto all’estero che in Italia; le sue opere sono accolte nelle pinacoteche, musei e collezioni private più importanti da Madrid a Londra, da Parigi a Mosca da Stoccolma a New York. Scrisse di lui il poeta e giornalista Ennio Emili “La pittura di Antoni emana radiosità, lavora con la gioia tattile e sensuale del cromatismo materico degli antichi e grandi maestri di bottega”, e suo cugino, lo scrittore Stelio Mattioni in un elzeviro su Il Piccolo scrisse “Che sia un pittore davvero, di quelli con l’iniziale maiuscola? Ho paura di si”
“Posso definirmi a ragione uno spazialista”, ammetteva Antoni, “nel senso che parte non trascurabile della mia opera è stata incentrata attorno agli spazi siderali, al rapporto che l’essere umano deve costituire con il proprio spazio interiore, nonché con quello teologico trascendentale, rispondente al concetto di Dio, che poi mi interessi bollarmi con qualche “ismo”, direi proprio di no. Durante tutta la mia vita ho dedicato le mie energie alla pura pittura senza preconcetti, faziosità o smanie corporative.” Antoni è legato al grande mistero dello spazio come Creato, opera divina, più che al mero “spazialismo”, per questo ha affascinato anche gli scienziati (a partire da quelli del Centro di Fisica), con le sue opere, fin dal 1969, quando con settanta grandi tele in mostra alla fiera di Montebello a Trieste, anticipò la visione dello sbarco dell’uomo sulla Luna, un sorprendente immaginario scientifico.
Dopo aver attraversato le fasi del Pendolo, del Movimento, del rapporto spazio/tempo e uomo/ spazio e spazio/mente, con ampie disgressioni creative e professionali (il ciclo della danza, il ciclo della moda, la ritrattistica in cui eccelleva, nonostante non gli piacesse praticarla), Antoni era sempre più attratto all’insù, come una forza gravitazionale all’incontrario, ed al critico Franco Salvadori spiegava che “Dalla fine degli anni ’90 ho sempre più sentito la necessità di conciliare il mio versante religioso con quello pittorico”.
Ecco che accanto alle opere dedicate alle Regole del Caos, la leggerezza vaporosa dei Fiori e delle Foglie, i numerosi Capricci, le Nature morte e la magnifica ultima serie delle Vele, Antoni continuava giorno dopo giorno a sviluppare il tema della retta, simbolo estremo dell’amoralità del mondo, perché diceva: “passa cose, sentimenti, persone, senza farsene troppi scrupoli come ogni giorno, purtroppo, abbiamo modo di constatare”.
Negli ultimi anni della sua vita, assistito amorevolmente dalla moglie Maria, Antoni continuava a dipingere pur costretto dall’infermità causata dall’ictus che lo aveva colpito anni prima, dipingeva soprattutto fiori e vele di assoluta levità e dolcezza cromatica, come aliti di vento posatisi sulla tela.
(Tratto da un articolo di Renzo Sanson dal quotidiano Il Piccolo il 24/10/2007)