Cerni-goi Claudio
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(Trieste 1929-1998)
Pittore, nel 1947, a soli diciassette anni, Claudio Cerni-goi partecipò, con il dipinto “In cerca del padre”, al festival della gioventù di Praga, in seguito con una borsa di studio si trasferirà per due anni a Lubiana alla Scuola d’Arte Applicata, per poter seguire le lezioni del professor Didek , li’ conoscerà e diventerà fraterno amico dello scultore Oreste Dequel. Nel 1950 con una sua opera post-cubista “La tovaglia verde” fu ammesso alla Biennale di Venezia, fu un evento clamoroso; infatti, all’ epoca a Trieste pochissimi avevano sentito parlare di questo giovane artista, in seguito Claudio Cerni-goi con Mariano Cerne, Sabino Coloni, Sigfrido Maovaz, Ireneo Ravalico e Carlo Giorgio Titz aderirà al Gruppo Verde definito così, non solo per la giovane età dei suoi componenti, ma pure per la loro cronica scarsità di soldi. Con il Gruppo Verde partecipò alla mostra collettiva nel 1949 ed anche una sua personale nel settembre 1950 della Galleria Lo Scorpione di via San Spiridione a Trieste, diretta da Frida e Dario de Tuoni. Fino al 1953 frequentò l’Accademia di Vienna sotto la guida del professor Elsner e fece parte del Gruppo Stern di Vienna, insieme agli artisti Hans Fischer, Adriano Grasso Caprioli, Guenter Bauer e Reo Martin Pedrazza, espose le sue opere alla Galleria Giosi di Roma. Da allora iniziò il suo colto vagabondare attraverso l’Europa: Austria, Germania, Olanda, Svizzera, Danimarca, Norvegia, Finlandia e Francia, durante un viaggio di studio a Parigi conobbe degli artisti scandinavi che lo invitarono a trasferirsi a Stoccolma, con il suo amico ed artista Marino Sormani, che poi rientrò a Trieste, mentre Cerni-goi rimase quasi 14 anni, perché si sposò con una ragazza svedese, con un piccolo periodo a Palma de Majorca in Spagna dove espose al Club Intelectual di Pollensa nell’agosto del 1955. Del periodo trascorso in Svezia si sa solo che le sue opere furono esposte al Kung’s Hotel di Gavle nell’ ottobre del 1955 e alla galleria Lilla Atelien di Stoccolma nel novembre 1956. Rientrato in Italia negli anni Sessanta, si stabilì per un paio d’anni tra Milano e Brescia, in quel periodo espresse con i suoi dipinti, esposti alla Galleria d’Arte San Michele di Brescia nel gennaio 1969, il nuovo tipo di alienazione connesso con una società che condannava le persone alla solitudine ed alla incomunicabilità. Rientrato definitivamente a Trieste nel 1971 l’artista, conobbe e divenne amico del poeta futurista Vladimiro Miletti, che gli rimproverava amabilmente di non far conoscere più spesso i suoi lavori, quindi si volse a considerare la vasta scena di un mondo ecologicamente sconvolto con una serie di dipinti su tele sabbiate “Le terre bruciate” e dimostrò grande impegno civile e politico con la copia d’autore di Pablo Picasso “Guernica” ed il dipinto rotondo che diveniva anche una sorta di cupola disposta sul soffitto dal titolo “Managua” del 1979 del quale la gallerista Frida de Tuoni nel 1980 scrisse : “Il Nicaragua è vicino, bagliori chiaroscuri, un girotondo insanguinato, una sequela di violenze, figure scavate avvolte in un clima di morte, lugubri tasselli di un fantasmagorico intarsio legati dal filo della disperazione. Il tutto proposto con virtuosismo ormai raro alla nostra visione dalla grande, straordinaria sensibilità di Claudio Cerni-goi”. All’inizio degli anni ottanta l’artista denunciò, con la pittura, la prevaricazione della moderna comunicazione di massa sull’uomo contemporaneo e si abbandonò a tematiche più intimistiche come i colloqui con la modella negli interni, per poi uscire (entrate ed uscite, come materico e cromatico, sono elementi ricorrenti nella pittura dell’artista) in esterni di soggetto marinaro e fiabesco in cui la figura espressionista si muove in un ambito metafisico non distante dalle atmosfere di Arturo Nathan. Nell’ultimo periodo della sua vita individuò le peculiarità ambientali, cogliendo i primi sintomi di un degrado ecologico. Su questo argomento si esercita l’ultimissima produzione dell’artista. con un linguaggio scarno ed essenziale, di forte impegno e comunicativa “La montagna ferita” del 1997. Così si compie l’ampio giro dell’arte di Claudio Cerni-goi tra natura ed artificio, materia e colore, impegno civile ed abbandono romantico, sempre nella tensione a migliorare per sé e per gli altri un mondo segnato dalla sofferenza, ma struggentemente proteso alla ricerca della felicità. (Tratto da recensioni del 1997 del prof. Sergio Molesi e del 2016 del prof. Sergio Brossi)